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Dimmi come ti vesti e chi cura i tuoi vestiti; ti dirò chi sei

Nella mia esperienza clinica ho notato quanto possa essere illuminante – in chiave sia di anamnesi che di diagnosi e prognosi – chiedere al paziente il racconto di quando e come sono avvenuti la scelta e l’acquisto del primo vestito scelto e/o acquistato in proprio. Per quanto incredibile possa sembrare, sono moltissime le persona, anche apparentemente molto evolute e autonome, che non hanno mai scelto o/e acquistato in proprio un vestito. Portare il paziente a scegliersi o/e acquistarsi in proprio un vestito, può costituire – in molti casi – una mossa terapeutica efficace e rilevante.

Per esempio, uno dei segni prognostici più signifcativi di fronte a una crisi in coppia sta nel vedere chi compra, lava e gestisce i vestiti del coniuge che si allontana (ma anche di quello che viene lasciato). Se, come spesso accade, è la madre o la sorella, significa che in gran parte quel coniuge o non si è mai davvero «sposato» o è massicciamente regredito, tornando nel mondo dal quale sarebbe dovuto essere ormai fuori. Né valgono a giustifica di ciò le ragioni di praticità o utilità che di solito vengono addotte. In realtà queste ragioni, lungi dall’essere la causa del comportamento, sono a loro volta la conseguenza di uno svincolo mai davvero attuato o, come si diceva, di una regressione massiccia in atto.

Decisivo è poi il momento in cui un figlio comincia a vestirsi a modo suo, lasciando e perdendo i vestiti che il genitore gli aveva messo. Che questo avvenga nel segno del piacere e non del conflitto solo lacerante caratterizzato spesso da modalità reattive nel figlio e di imposizione nel genitore, è ovviamente più che auspicabile. Dimmi con quanto piacere sai e puoi vestirti, e ti dirò quanto autonomo e libero sei, e quanta capacità di amore hai. Naturalmente, quanto qui sto dicendo in ordine al rapporto famigliare tra il figlio e il genitore, vale anche in ordine al rapporto sociale tra la generazione degli adolescenti o dei giovani e quella degli adulti, con tutte le sporgenze ideologiche, religiose, politiche ed economiche che tale ampliamento di livello sottende (per esempio non va ignorato, quanto e come il vestire sia campo di azione dell’industria, oltre che manifatturiera, anche culturale e degli interessi, oltre che economici, anche politici, ideologici e religiosi).

 

One Comment

  1. gentile dott. Cortesi,
    arrivata al suo sito compiendo una breve ricerca online sul problema del narcisismo [temo di stare vivendo ormai da anni con e purtroppo per un uomo narcisista], ho iniziato a leggere alcuni altri articoli, tra cui questo. Pur non essendo strettamente legato alla tematica di cui Lei tratta, mi è balenato in mente un dubbio che riguarda il rapporto con il mio compagno.
    Le illustro alcuni particolari ai fini della domanda che le porrò in calce. Fin da piccina sono stata invitata dalla mia famiglia a esprimermi liberamente, anche per quanto riguarda l’abbigliamento: pur accompagnata dai miei genitori in negozi con un budget accessibile alle nostre tasche, già da molto piccina potevo scegliere se indossare una maglia rosa, rossa o celeste. Tutto questo per dire che ho sempre potuto fare affidamento sui miei gusti, sulle piccole sicurezze date dal camminare sulle mie gambe.
    Tutto questo purtroppo ha avuto un’interruzione con l’evolversi della relazione con il mio attuale compagno. Inizialmente ho rinunciato ad alcuni interessi, dato che sarebbero state delle occasioni in cui non ci saremmo visti, visto che lui non voleva saperne di farsi coinvolgere. Successivamente, dato che i miei gusti erano troppo “borghesi” o troppo “da maestrina”, ho smesso di parlare di ciò che mi piaceva. Infine, dato che lui considerava il mio modo di vestire troppo “da nonna”, ho provato ad adattarmi, con scarsi risultati, pianti ininterrotti (non dovuti all’abbigliamento, ma piuttosto allo sfinimento, alla devastazione in me stessa) e il risultato che, stando male e non avendo quasi nemmeno la forza per uscire di casa, ora sento il mio compagno dire “all’inizio ti curavi di più”. Credo che in tutto questo ci sia una critica alla mia autonomia, dato che lui si ritiene sempre impeccabile, sebbene i suoi abiti siano in gran parte scelti da sua madre.
    Vorrei capire se la mia impressione sull’autonomia potrebbe avere una qualche fondatezza. In secondo luogo, mi interesserebbe sapere, se una continua critica feroce verso la propria compagna, specialmente se vista come troppo autonoma (nel suo gergo “troppo femminista”) sia un elemento caratteristico di un uomo affetto da disturbo narcisistico.


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