«Scuola» deriva dal greco scholé
(estratto dalla mia Prefazione al libro Lettera dalla scuola tradita di Giancarlo Maculotti, Armando Editore, Roma, marzo 2008)
«Scuola» deriva dal greco scholé, che, a sua volta, si rifà al verbo echein, ‘avere’. La scholé era dunque quel tempo prezioso che porta ad avere sé stessi, così che l’avere coincida con l’essere. Non a caso l’equivalente latino di scholé è otium, cioè il tempo della libertà e della identità più vere e radicali. Provate ad andare a dire a un ragazzo d’oggi, che la scuola è il tempo della libertà e della identità; verificherete subito quanto lontana sia oggi dalle proprie origini la scuola. Invece, se si vuole, essa è il tempo della libertà e della identità.
Resta un dubbio. Se l’amore, la gioia e – con essi e in essi – la libertà e l’identità non possono essere dati, ma vanno conquistati, desiderati, amati, quasi rubati, giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, come possono essere affidati alla scuola, se questa è un obbligo, stabilito per ideologia e per legge? Se è obbligo, poi per forza di cose tutto finisce per essere “contrattato”: quando, come, chi interrogare; se fare o non fare un compito; quali materie portare all’esame; quante ore di aggiornamento degli insegnanti ci siano; che ruolo abbiano i genitori nella scuola; quando e come si diventi di ruolo; che cosa vada o non vada riformato; e così via.
La scholé presuppone il senso del cammino. Se una coppia, una società, una storia, una cultura non sanno dove vanno e perché esistono, che senso avrà mai l’auctoritas?
«Adolescente» e «adulto» derivano dal latino, dal verbo ad-alescĕre (da cui adolescĕre) ‘essere nutrito, crescere’, a sua volta risalente ad alĕre, ‘nutrire’, della cui azione indica l’avvio, e alla preposizione ad, che indica l’intenzionalità orientata: «adolescente» e «adulto», rispettivamente il participio presente e quello passato di ad-alescĕre, indicano quindi ‘colui che sta cominciando a crescere’ e ‘colui che ha già cominciato a crescere’. Quanti di noi – genitori, insegnanti, cittadini – sono veri adulti, hanno cominciato a crescere nell’amore, nella cultura, nella vita, negli stupori? Quanti di noi possono essere riferimento credibile per un adolescente, che solo ora sta cominciando a crescere e, come una timida lumachina, mette fuori dal guscio le sue piccole antenne? È l’immagine, cui ricorrono Horkheimer e Adorno in appendice a Dialettica dell’illuminismo, là dove parlano della stupidità come del callo prodotto quando le antenne sono puntualmente negate, ributtate indietro. O forse conviene a tutti che i ragazzi la smettano una buona volta di pro-vocarci, di essere i messaggeri di un mistero, di guidarci nel futuro? Perché non fanno i bravi? Perché non vogliono essere stupidi? Perché creano problemi a tutti noi, ministri compresi?
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Il poeta Giorgio Caproni, insegnante elementare, scriveva in un diario: ” Mi accorgo quanto poco siamo stimati proprio grazie ai miei successi letterari: “L’Europeo” si è chiesto come mai io non lasci la scuola: come se fosse un mestieruccio…”
e ancora: ” Giorni fa stavo spiegando che la linea retta è una linea senza principio e senza fine, e che perciò non si può misurare. “Come Dio” salta su C., il più giovane della classe. E in quel momento tutta l’attenzione della classe era fissata sull’infinità di Dio.”
Voglio ricordare il grande poeta livornese con una sua poesia/ preghiera per sua madre:
“Anima mia leggera,/ Và a Livorno, ti prego./ E con la tua candela/ Timida, di nottetempo/ Fà un giro; e, se n’hai il tempo/ Perlustra e scruta, e scrivi/ se per caso Anna Picchi/ E’ acora viva tra i vivi/…..”
….Anima mia, sii brava/ E va’ in cerca di lei./ Tu sai cosa darei/ Se la incontrassi per strada.”