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Questo post rientra nella rubrica Da Google a qui  .

sfratto e depressione

 

L’esperienza dello sfratto riattiva tutte le ferite che, nel profondo, riguardano le prime accoglienze dell’esistenza di un essere umano: come fu accolto quando fu concepito, come venne vissuta la sua gravidanza, come fu il suo parto, come fu guardato e accolto alla nascita dalla madre, come venne contenuto dal suo abbraccio, con quale attenzione e cura fu accudito  nei suoi primi tre anni, all’interno di quale relazione crebbe (di accettazione, rifiuto, abbandono), se e come cambiò il rapporto con la madre all’arrivo di altri fratelli, all’interno di quale “casa” visse. Anche il tipo di accoglienza e di relazione avute o non avute dal padre e con il padre gioca un ruolo importante, soprattutto per il figlio maschio. Un figlio poco confermato dal padre, per esempio, difficilmente riuscirà a fare ed essere casa in modo pieno; anche se non verrà sfrattato, passerà spesso da una casa all’altra e/o non avrà mai una casa nella quale davvero ritrovarsi e identificarsi. In modo formidabile, poi, gioca il tipo di imprinting che quella persona ha ricevuto dalla coppia dei suoi genitori e dalla relazione che questa coppia era o non era: nel loro relazionarsi hanno fatto casa, sono stati casa calda e accogliente? Se una persona cresce in uno spazio che relazionalmente non è casa, non riuscirà mai a fare e a essere casa, se non a seguito di una adeguata psicoterapia.

La casa, prima e più che una entità fisica e immobiliare, è un evento relazionale. Chi non l’abbia vissuta da figlio, non ne ha l’imprinting e, senza un adeguato percorso terapeutico, difficilmente saprà proporla, costruirla e viverla da coniuge e da genitore

Ben difficilmente uno sfratto è evento casuale, Al di qua delle ragioni oggettive che lo producono, di solito è un evento che, anche quando non venga – più o meno inconsciamente – provocato, viene comunque lasciato accadere o non viene debitamente previsto e adeguatamente anticipato o evitato. È come se, in un modo o nell’altro, la persona avesse bisogno di essere prima o poi sfrattata.

La dinamica che presiede a tali tipi di comportamenti o situazioni si chiama coazione a ripetere; venne identificata da Freud. La psiche o il Sé profondo di una persona hanno bisogno di riproporre – spesso in modo compulsivo – situazioni analoghe a quella vissute nella prime fondamentali relazioni della esistenza, per poterle, affrontandole di nuovo, finalmente superare o – eventualità molto più probabile – ancora subire. Più la ferita è profonda, più il Sé cerca di continuare a subirla, sia pure all’interno di contesti e di situazioni diversi e consciamente non riconducibili alla ferita originaria, da un lato quasi per potere dimostrare a sé stesso l’insuperabilità del proprio essere vittima, dall’altro per potere spostare su chi sta causando ora l’attuale situazione tutta la colpa della propria sofferenza sia di ora che di allora. Lamentandosi di chi sta procurando l’attuale sfratto, inveendogli contro, magari aggredendolo, il Sé inconsciamente sfoga sul malcapitato attuale la rabbia e l’aggressività che a suo tempo non poté orientare sul genitore, sui genitori o sui fratelli, che non lo accoglievano e/o che lo “sfrattavano” da una centralità voluta o dovuta o desiderata o pretesa.

La rabbia e l’aggressività possono essere espresse anche attraverso la depressione. Chi è depresso, con la rinuncia a  vivere prima di tutto aggredisce sé stesso, quasi a dimostrare – paradossalmente – che chi lo sfratta ha ragione e che non si può non finire sfrattati quando si è così tanto sfigati. Poi, aggredisce attraverso i sensi di colpa gli altri. Il depresso è un abilissimo produttore e gestore di sensi di colpa: attraverso di essi si assicura un potere enorme, spingendo o – addirittura – più o meno inconsciamente obbligando (con il ricatto psicologico e/o affettivo e/o morale e/o politico) gli altri a occuparsi di lui, a dargli quella poppata di centralità, attenzione, compassione, aiuto, che altrimenti non avrebbe né potrebbe avere. Spesso dietro e sotto uno sfrattato che si lamenta c’è un Sé bambino che si vendica.

One Comment

  1. Il mio Sè bambino è sempre più lontano, e sempre più mi sento padre e madre di me stessa e in pace con loro.
    Ovunque fossi cercavo di rendere amabile, caldo, accogliente il “posto” in cui stavo,un’illusione di casa.Ma ancora non sapevo.
    L'”intelligenza emotiva” che ho sempre caparbiamente esercitato mi ha preservato dalla depressione. Ho provato invece lo sconforto profondo, ma sapevo che da quello ci si rialza, io lo volevo e l’ho sempre fatto, ogni volta.E ogni volta, non avendo paura di guardare le profondità più scure, ne sono uscita orgogliosa e rafforzata.Di una forza serena e di una saggezza prima sconosciute che mi hanno permesso di non erigere difese ma al contrario di andare incontro alle bufere,imparando i venti e le stelle e sapendo di poterle affrontare.Ho attraversato mari quanto mai agitati, ho saputo tenere la rotta anche quando il boma mi colpiva e la disperazione sembrava sopraffarmi.Sempre sola. Ho pensato finalmente ai MIEI figli e li portati con me in acque placide lasciandoli più sereni alla loro vita.
    Ho imparato il silenzio e l’attenzione.
    La concentrazione e la calma, la contemplazione. La soddisfazione per le piccole cose quotidiane che ti viene dalla consapevolezza di quanto siamo piccoli ed effimeri ma quanto importanti per il benessere di chi ci sta accanto!
    Sto costruendo la MIA casa così che possa saper costruire la nostra.


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